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Residenza fiscale all’estero e famiglia in Italia

Cassazione: la tassazione dei redditi resta fuori dall’Italia.

Secondo la Cassazione si può considerare residente fiscalmente all’estero il contribuente che possa dimostrare di avere il proprio centro di interesse lavorativo principale fuori dal Belpaese, ossia che l’attività principale che egli svolge per mantenere sé e la propria famiglia sia all’estero; e ciò anche se la sua famiglia e gli affetti principali sono rimasti in Italia.

 La sentenza [1] è davvero interessante. Infatti la Cassazione precisa che il criterio da utilizzare per verificare se il contribuente è effettivamente residente all’estero, in termini assoluti, è quello di individuare dove si trova la sede principale della sua attività, cioè il centro vitale dei propri interessi. Questo centro di interesse vitale, sempre secondo la Cassazione, deve essere rinvenuto nel luogo ove egli esercita, in modo riconoscibile dai terzi, la propria attività principale.

La novità introdotta dalla Cassazione nella valutazione della residenza, rispetto a quanto sinora stabilito dai documenti emessi dall’Agenzia delle Entrate [2] e dal contenuto delle disposizioni di legge [3], è si la priorità che viene data al luogo in cui si svolge l’attività lavorativa principale del contribuente, ma soprattutto il legame che si è creato, in riferimento al tempo ed all’impegno profuso, con il territorio nel quale la residenza estera è stata fissata.

La dimostrazione dello svolgimento di un’attività lavorativa, a tempo pieno, collegata col territorio estero e di lunga durata basta a provare il distacco dal territorio, indipendentemente dalla sussistenza in Italia di legami affettivi e familiari, i quali, in presenza del requisito principale di cui sopra, non hanno rilevanza prioritaria ai fini della prova da dare all’aministrazione finanziaria italiana, per dimostrare la residenza fiscale estera.

I legami affettivi, relativi al centro degli interessi famigliari e personali, rileverebbero soltanto in concomitanza della sussistenza di altri elementi che, in modo univoco, provino che in Italia permane quello stretto collegamento col territorio, tale da rendere inefficace la residenza estera.

In sostanza, solo se il contribuente mantiene in Italia qualche altro interesse economico-patrimoniale rilevante o qualche attività lavorativa complementare a quella principale, tali da sollevare dubbi sulla rilevanza del lavoro svolto all’estero, allora il criterio del legame affettivo può essere preso in considerazione per ritenere non dimostrata la residenza estera.

Si ritiene che questa sentenza esponga alcuni elementi importanti che potrebbero servire da guida, in futuro, per i contribuenti che si trovassero nelle condizioni sopra descritte.

 

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Il suggerimento pratico è che tutti i contribuenti italiani, che abbiano preso la cittadinanza in uno Stato estero, sia a fiscalità privilegiata che non, conservino l’opportuna documentazione della propria attività e dell’effettivo legame col territorio estero: solo così potrebbero dimostrare la propria residenza fiscale, pur mantenendo in Italia i propri legami familiari e minimi interessi economici personali.

[1] Cass. sent.. n. 6501 del 31.03.2015.

[2] Agenzia Entrate – Ris. Min. n. 351/E del 7.8.2008.

[3] Art. 2 co. 2 e co. 2-bis DPR 917/86 TUIR

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Mauro Finiguerra

Commercialista e revisore dei conti in Sanremo (IM), esperto in fiscalità internazionale, contenzioso tributario ed protezione del patrimonio (Trust). Es […]

 

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