Cristiano Banti Galileo davanti all' inquisizione romana Cristiano Banti
Galileo davanti all’ inquisizione romana

  Dopo il numero 0 dello scorso anno, con questo numero inizia la sua pubblicazione periodica.
Anche in relazione ai consensi dei lettori, abbiamo confermato la scelta monotematica e questo numero della rivista è interamente dedicato al tema della  “elusione fiscale e abuso del diritto”.
Argomento di grande attualità che ha formato oggetto del Convegno organizzato dall’ A.N.T.I. presso il CNEL il 20 ottobre u.s. La parte dottrinaria di questo numero, è infatti costituita dalla sintesi di alcune relazioni tenute in detto convegno.
Nel settore “Legislazione” riportiamo integralmente la recente circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 67/E del 13 dicembre 2007.
Nella parte riservata alla Giurisprudenza riportiamo le massime delle principali sentenze di merito e di legittimità intervenute in materia, suddivise per argomenti.
Di particolare interesse appaiono le recentissime sentenze delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 30055 e 30057/08, depositate il 23 dicembre 2008, e quindi successive al nostro convegno di ottobre.
Con la sentenza n. 30055/08, relativa a fattispecie di Dividend Washing anteriori alla normativa prevista dall’art. 7 bis del D.L. n. 372 del 1992, convertito in L. n. 429/92, la Suprema Corte ha fra l’altro affermato quanto segue:
“Nel merito, ritengono le Sezioni Unite di questa Corte di dover aderire all’indirizzo di recente affermatosi nella giurisprudenza della Sezione tributaria (si veda, da ultimo, Cass. 10257/08, 25374/08), fondato sul riconoscimento dell’esistenza di un generale principio antielusivo; con la precisazione che la fonte di tale principio, in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano”.
Ed in effetti, i principi di capacità contributiva (art. 53, primo comma., Cost.) e  di progressività dell’ imposizione (art. 53, secondo comma, Cost.) costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi. Con la conseguenza che non può non ritenersi insito nell’ ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”.
Ed ha altresì rilevato:
“Nessun dubbio può d’altro canto sussistere riguardo alla concreta rilevabilità d’ufficio, in questa sede di legittimità, della inopponibilità del negozio abusivo all’erario”.
In aggiunta alle considerazioni svolte sub 2.1., giova ricordare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, sono rilevabili d’ufficio le eccezioni poste a vantaggio dell’amministrazione in una materia, come è quella tributaria, da essa non disponibile (da ultimo, Cass. 1605/08). Il carattere elusivo dell’ operazione può d’altro canto agevolmente desumersi, senza necessità di alcuna ulteriore indagine di fatto, sulla base della compiuta descrizione che se ne rinviene in atti (in specie nella stessa sentenza impugnata) e, soprattutto, della esplicita valutazione proveniente dallo stesso legislatore, per quanto si è osservato sub 2.3. e 2.4.”.
La sentenza impugnata – fondata sull’implicito presupposto della inesistenza nell’ ordinamento di un generale principio antielusivo – risulta dunque erronea e va cassata”:
A sua volta la coeva sentenza n. 30057 ha dettato il seguente principio di diritto:
“È inopponibile all’erario – in virtù di un generale principio di divieto di abuso del diritto in materia tributaria, desumibile dall’art. 53 Cost. – il negozio con il quale viene costituito, in favore di una società residente nel territorio dello Stato, un diritto di usufrutto sulle azioni o sulle quote di una società italiana, possedute da un soggetto non residente, in modo da consentire al cedente di trasformare il reddito di partecipazione in reddito di negoziazione (esente dalla ritenuta sui dividendi di cui all’art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973) ed alla cessionaria di percepire i dividendi, sui quali, oltre a subire l’applicazione della ritenuta meno onerosa di cui all’art. 27, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 (oltretutto recuperabile in sede di dichiarazione annuale) essa può avvalersi del credito di imposta previsto dall’art. 14 del d.P.R. n. 917 del 1986, ed inoltre di dedurre dal reddito di impresa, pro quota annuale, il costo dell’usufrutto, allorché risulti che il negozio stesso non ha altre ragioni economicamente apprezzabili al di fuori di quella di conseguire un vantaggio tributario”.
Certamente di tali sentenze si parlerà a lungo, ma il primo pensiero che viene alla mente è il ben noto proverbio “la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”.
Nessuno infatti dubita delle buone intenzioni della Suprema Corte, ma le vie seguite e le conclusioni cui perviene appaiono… infernali.
In estrema sintesi, e con riserva di futuri sviluppi, si può infatti osservare:

a) che con tali pronunce la Corte ha assunto contemporaneamente le funzioni di legislatore (ampliando la portata delle norme antielusive, e applicandole retroattivamente) nonché di difensore del ricorrente e di giudice unico e inappellabile, decidendo in base a motivi non dedotti e senza possibilità di difesa e di impugnazione da parte del soccombente;

b) che le tesi, del tutto innovative sostenute dalla Corte, trovano esclusivo fondamento nei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione di cui all’art. 53 della Costituzione, principi che per oltre 60 anni non hanno mai consentito di considerare indebito l’uso legittimo e non simulato di strumenti giuridici;

c) che non è dato vedere perché mai debbano essere considerate elusive operazioni poste in essere per soli motivi fiscali, quando gli oneri fiscali costituiscono un peso tanto rilevante sui risultati economici di una impresa. In base a questo principio sarebbe inopponibile al fisco qualsiasi operazione fiscalmente agevolata, quale, ad esempio, la rivalutazione agevolata degli immobili e delle partecipazioni agli effetti delle plusvalenze di cui agli artt. 5 e 7 della legge n. 448 del 2001 – con l’aliquota del 4% – ovvero l’applicazione del condono, posto che ovviamente non sussistano altri motivi se non quello fiscale, che giustificano tali operazioni.

d) che la disciplina relativa alla tassazione dei dividendi è unica e oggettiva, quale che sia il percipiente dei dividendi, in quanto giustificata dalla tassazione dei redditi in capo alla società erogante. Non è dato quindi vedere come e perché tale disciplina possa essere ignorata in relazione ai motivi che hanno consentito l’incasso dei dividendi, quando la legge è uguale per tutti.

  Ciò posto ritengo che il problema dell’abuso del diritto debba essere ulteriormente approfondito, ed auspicabilmente definito in via legislativa e comunque riconsiderato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Claudio Berliri

(N.d.R. …vi invito ad approfondire >>
Senza affidabilità nella applicazione delle regole, non esiste un “diritto tributario”
di Roberto Lunelli

elusione fiscale e abuso di diritto – Associazione Nazionale

associazionetributaristi.it/…/N._1-_Elusione_fiscale_e_abuso_di_diritto.p…

 

Considerazioni generali in tema di elusione fiscale e abuso del diritto.

 

 

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