Dal nosto amico Canadese, Luigi Boschin :
Leggo questo articolo sul Messaggero di oggi e per tutelarmi, domani, una persona di mia fiducia farà il pieno di prodotti Domenis presso la loro sede di Cividale tra cui la miglior grappa al mondo: la Storica Nera.
Ho fatto un calcolo preciso di quanta me ne servirà nelle mie residenze nel mondo per il resto dei miei giorni. Non voglio rinunciare a queste eccellenze che la Repubblica Italiana si impegna a distruggere:
TRISTE VICENDA DI PERSECUZIONE GIUDIZIARIA!
CIVIDALE. Niente da fare per la storica e prestigiosa distilleria “Domenis” di Cividale del Friuli. A quasi vent’anni dall’inizio della “via crucis” tributaria nella quale i suoi amministratori erano incappati per presunte violazioni fiscali, la Corte di Cassazione ha chiuso la vertenza respingendo le ragioni difensive dell’azienda e imponendole il pagamento di oltre 10 milioni di euro all’Agenzia delle dogane. La sentenza è stata depositata dagli ermellini romani lo scorso 18 marzo e la portata del debito, come intuibile, rischia di determinare conseguenze pesantissime sul prosieguo dell’attività. Inchiesta penale e maxi “multa” I guai erano cominciati – o meglio, erano raddoppiati – nell’estate del 2010, quando Silvano Domenis, reduce da una condanna di primo grado del tribunale di Udine per le ipotesi di reato di falso e violazione dell’accisa, si era visto notificare dall’Ufficio udinese delle Dogane l’invito al versamento di una “bolletta” da 9 milioni 652.393 euro. Soldi che l’imprenditore avrebbe dovuto saldare, per avere beneficiato – questa la contestazione che gli era stata sollevata prima dalla Procura della Repubblica di Udine e, poi, anche dagli accertatori doganali – dell’esenzione d’imposta per una serie di partite di alcol destinate all’esportazione, pur senza averne alcun titolo. Nel mirino, gli stessi 903 mila litri di alcol etilico a 95,5 gradi per i quali, nel settembre del 2009, gli era stata inflitta una pena di due anni e mezzo di reclusione (estinta per indulto). Nel procedimento penale, Domenis era stato accusato di avere compiuto 37 spedizioni di grappa, con falsi documenti, tra l’agosto del 1994 l’aprile del 1998, a «imprese inesistenti» in Estonia e Lettonia. E di averlo fatto, al fine di fruire del regime sospensivo dell’accisa previsto per l’esportazione in Paesi extracomunitari. La “bolletta” annullata Ebbene, la battaglia legale seguita a quel primo round nefasto aveva portato esiti positivi in sede sia penale, sia tributaria. Nel 2011, la Commissione tributaria di Udine aveva assolto il noto e apprezzato distillatore e annullato l’invito al pagamento delle Dogane. «Se, da un lato, lo scopo unico degli autori degli illeciti era il contrabbando che consentiva lucri enormi – scriveva nelle motivazioni il giudice relatore, Mario Umberto Grillo -, dall’altro è escluso che i comportamenti decisivi che hanno comportato anche l’illecita sottrazione delle merci all’accisa (rimozione dei sigilli e apposizione di timbri falsi sui documenti) siano ricollegabili in qualche maniera al Domenis». E l’assoluzione in Appello I difensori, avvocati Giuseppe Campeis, di Udine, ed Enrico Casamassima, di Roma, avevano “bissato” il successo l’anno successivo, ottenenendo il ribaltamento della sentenza di condanna davanti alla Corte d’appello di Trieste. Domenis era stato così assolto dalle accuse di falso e di violazione dell’accisa, rispettivamente con le formule “per non aver commesso il fatto” e “perchè il fatto non sussiste”. In linea, cioè, con quanto già stabilito dai giudici norvegesi e tedeschi, a loro volta favorevoli alla tesi dell’azienda friulana. «Una vicenda processuale – aveva argomentato l’avvocato Campeis – originata per un verso da errori commessi dai soli funzionari italiani, visto che quelli tedeschi e norvegesi fin dall’inizio avevano considerato il distillatore friulano vittima di contrabbandieri professionali. E, per l’altro, da un’eccessiva valorizzazione operata dagli organi di polizia giudiziaria di indizi equivoci, privi di qualsiasi valenza e annichiliti dalle plurime prove, tutte di segno contrario, offerte nel tempo dalla difesa». Il “ribaltone” in Tributaria.
L’archiviazione delle tribolazioni penali, però, non è bastata ad arrestare l’iter amministrativo. Approdato nel frattempo davanti alla Commissione tributaria regionale di Trieste, infatti, il caso della “Domenis” è stato nuovamente aperto, incombendo sull’azienda con tutto il peso dei 10 e più milioni di euro – considerati anche gli interessi maturati nel tempo – pretesi dalle Dogane quale saldo di anni di accise non versate. Da qui, il ricorso per Cassazione presentato dalla difesa (non più rappresentata anche dall’avvocato Campeis), quale estremo tentativo di scongiurare un colpo altrimenti mortale, o quasi, in termini economici. La “mazzata” romana L’esito è quello pronunciato il mese scorso dai giudici della Corte Suprema, nella sentenza che ha dichiarato il ricorso inammissibile. «Non condividiamo l’interpretazione data dalla Cassazione – ha commentato l’avvocato Casamassima – e riteniamo che della vicenda, molto complessa e protrattasi per 17 anni, sia stata formulata una lettura affrettata». A questo punto, l’azienda potrebbe tentare l’ulteriore e definitiva carta dell’impugnazione, puntando alla revocazione per errore di fatto. Ma il debito tributario in ballo è talmente elevato, da rendere al momento azzardata qualsiasi previsione.
Ho fatto un calcolo preciso di quanta me ne servirà nelle mie residenze nel mondo per il resto dei miei giorni. Non voglio rinunciare a queste eccellenze che la Repubblica Italiana si impegna a distruggere:
TRISTE VICENDA DI PERSECUZIONE GIUDIZIARIA!
CIVIDALE. Niente da fare per la storica e prestigiosa distilleria “Domenis” di Cividale del Friuli. A quasi vent’anni dall’inizio della “via crucis” tributaria nella quale i suoi amministratori erano incappati per presunte violazioni fiscali, la Corte di Cassazione ha chiuso la vertenza respingendo le ragioni difensive dell’azienda e imponendole il pagamento di oltre 10 milioni di euro all’Agenzia delle dogane. La sentenza è stata depositata dagli ermellini romani lo scorso 18 marzo e la portata del debito, come intuibile, rischia di determinare conseguenze pesantissime sul prosieguo dell’attività. Inchiesta penale e maxi “multa” I guai erano cominciati – o meglio, erano raddoppiati – nell’estate del 2010, quando Silvano Domenis, reduce da una condanna di primo grado del tribunale di Udine per le ipotesi di reato di falso e violazione dell’accisa, si era visto notificare dall’Ufficio udinese delle Dogane l’invito al versamento di una “bolletta” da 9 milioni 652.393 euro. Soldi che l’imprenditore avrebbe dovuto saldare, per avere beneficiato – questa la contestazione che gli era stata sollevata prima dalla Procura della Repubblica di Udine e, poi, anche dagli accertatori doganali – dell’esenzione d’imposta per una serie di partite di alcol destinate all’esportazione, pur senza averne alcun titolo. Nel mirino, gli stessi 903 mila litri di alcol etilico a 95,5 gradi per i quali, nel settembre del 2009, gli era stata inflitta una pena di due anni e mezzo di reclusione (estinta per indulto). Nel procedimento penale, Domenis era stato accusato di avere compiuto 37 spedizioni di grappa, con falsi documenti, tra l’agosto del 1994 l’aprile del 1998, a «imprese inesistenti» in Estonia e Lettonia. E di averlo fatto, al fine di fruire del regime sospensivo dell’accisa previsto per l’esportazione in Paesi extracomunitari. La “bolletta” annullata Ebbene, la battaglia legale seguita a quel primo round nefasto aveva portato esiti positivi in sede sia penale, sia tributaria. Nel 2011, la Commissione tributaria di Udine aveva assolto il noto e apprezzato distillatore e annullato l’invito al pagamento delle Dogane. «Se, da un lato, lo scopo unico degli autori degli illeciti era il contrabbando che consentiva lucri enormi – scriveva nelle motivazioni il giudice relatore, Mario Umberto Grillo -, dall’altro è escluso che i comportamenti decisivi che hanno comportato anche l’illecita sottrazione delle merci all’accisa (rimozione dei sigilli e apposizione di timbri falsi sui documenti) siano ricollegabili in qualche maniera al Domenis». E l’assoluzione in Appello I difensori, avvocati Giuseppe Campeis, di Udine, ed Enrico Casamassima, di Roma, avevano “bissato” il successo l’anno successivo, ottenenendo il ribaltamento della sentenza di condanna davanti alla Corte d’appello di Trieste. Domenis era stato così assolto dalle accuse di falso e di violazione dell’accisa, rispettivamente con le formule “per non aver commesso il fatto” e “perchè il fatto non sussiste”. In linea, cioè, con quanto già stabilito dai giudici norvegesi e tedeschi, a loro volta favorevoli alla tesi dell’azienda friulana. «Una vicenda processuale – aveva argomentato l’avvocato Campeis – originata per un verso da errori commessi dai soli funzionari italiani, visto che quelli tedeschi e norvegesi fin dall’inizio avevano considerato il distillatore friulano vittima di contrabbandieri professionali. E, per l’altro, da un’eccessiva valorizzazione operata dagli organi di polizia giudiziaria di indizi equivoci, privi di qualsiasi valenza e annichiliti dalle plurime prove, tutte di segno contrario, offerte nel tempo dalla difesa». Il “ribaltone” in Tributaria.
L’archiviazione delle tribolazioni penali, però, non è bastata ad arrestare l’iter amministrativo. Approdato nel frattempo davanti alla Commissione tributaria regionale di Trieste, infatti, il caso della “Domenis” è stato nuovamente aperto, incombendo sull’azienda con tutto il peso dei 10 e più milioni di euro – considerati anche gli interessi maturati nel tempo – pretesi dalle Dogane quale saldo di anni di accise non versate. Da qui, il ricorso per Cassazione presentato dalla difesa (non più rappresentata anche dall’avvocato Campeis), quale estremo tentativo di scongiurare un colpo altrimenti mortale, o quasi, in termini economici. La “mazzata” romana L’esito è quello pronunciato il mese scorso dai giudici della Corte Suprema, nella sentenza che ha dichiarato il ricorso inammissibile. «Non condividiamo l’interpretazione data dalla Cassazione – ha commentato l’avvocato Casamassima – e riteniamo che della vicenda, molto complessa e protrattasi per 17 anni, sia stata formulata una lettura affrettata». A questo punto, l’azienda potrebbe tentare l’ulteriore e definitiva carta dell’impugnazione, puntando alla revocazione per errore di fatto. Ma il debito tributario in ballo è talmente elevato, da rendere al momento azzardata qualsiasi previsione.